
Lasciate ogni speranza voi che entrate su Facebook.
Oggi ho assistito alla mortificazione di Amore, inteso non come celebrazione dello stesso ma come dimensione ultronea e ipotetica cui aspiriamo e che rientra di diritto negli eventi possibilistici, più probabili solo se in fase post depilatoria.
Tutti abbiamo una rappresentazione vera o presunta di questo strano sentimento che muta con la stessa facilità con cui si decide all’ultimo secondo di cambiare fila al casello autostradale per dire, ma per quanto ognuno di noi abbia una personalissima considerazione di Amore, questo sconosciuto, non possiamo tacere quanto la sua assenza – più che la sua presenza – condizioni il nostro umore, il colore dei capelli e la nostra presenza più o meno assidua in palestra.
Premesso l’essenziale sull’amore, c’è anche da dire che esso (Amore) si può trovare ovunque, un po’ come il totem del cornetto Algida. Lo puoi beccare al bar sotto casa, in spiaggia, nella tua cucina e anche in aereo. Che sia stato poi la volta buona o solo una volta quella buona, sarà il tempo a decretarlo.
Ciò detto, è successo che il destino mi abbia resa spettatrice privilegiata – prima della naturale mutazione genetica in opinionista un po’ Signorini un po’ Meluzzi – del definitivo disincanto di una giovane donna che da domani – questo è certo – non sarà più la stessa. Nel senso che forse sarà un po’ meno rincoglionita.
Quando nasce un amore…non guardate Facebook!
Ma andiamo per gradi. Gustavo il mio parco pranzo a base di 70 grammi di riso e fagiolini lessi privi di olio – immolando così al dio Dukan la pausa pranzo – parlando con le colleghe degli effetti devastanti di un semipermanente prolungato, quando al tavolo vicino una giovanissima donna nel fiore dell’età (circa la mia), accennava timidamente ai suoi assopiti interlocutori del viaggio da poco concluso in Africa come missionaria laica.
Fino a quel punto le mie trombe di Eustachio avevano recepito poco o niente del folle e avventuroso resoconto. Certo non mi era sfuggita la frase a forte e indiscutibile contenuto cristiano, “comunque so’ proprio contenta d’esse’ tornata e de magna’ finarmente cose bone” e la sibillina “non sapete poi cosa è successo durante il viaggio di ritorno”.
Per la verità non lo sapevo neanche io ma avevo deciso che lo avrei assolutamente saputo da lì a poco.
I compagni in stato di semi incoscienza, che fino a quel momento facevano finta di ascoltare i commoventi aneddoti della giovane senza peccato su bambini gioiosi sempre e con poco, a cui bastava niente o l’assurdo per sorridere, anche solo ascoltare una canzone di Al Bano per dire, parvero ringalluzzirsi tutti insieme ed io con loro.
Pare che la giovane dal cuore d’oro, di rientro dal viaggio della vita, fosse confinata in aereo in preda a forti dolori dovuti ad uno stato febbrile con spasmi di tosse che lasciavano presagire un probabile virus Ebola contratto in quelle zone, e che ad asciugarle la fronte sudata e ad accarezzarle i capelli incartapecoriti da una mesata di terra, fango, gazzelle, leoni e bambini senza nessun tipo di igiene di base, ci fosse un tipo di sesso maschile.

Certo, tutto considerato, già questo mi bastava per affrontare appagata il resto del pomeriggio, ma non era finita lì.
Il racconto proseguiva con tono sommesso e pacato, di chi è sicuro di sé e gestisce le proprie emozioni nella piena consapevolezza, ripercorrendo dieci ore di viaggio in cui lui, il candidato alla santità, non si era mai alzato lasciandola da sola in balia del malessere satanico, nemmeno per fare la pipì.
Questo non lasciava dubbio alcuno, era lui. Era Amore.
Nessun uomo con la prostata a posto, in effetti, avrebbe sostenuto quel ritmo misto di carezze e sudore senza farsela sotto.
Uno dei commensali a quel punto, forse mosso dall’avvicinarsi della fine della pausa pranzo che lo avrebbe lasciato con un dubbio latente – un po’ come quello che ancora oggi accompagna l’allunaggio o l’attentato alle torri gemelle – ha deciso di chiedere alcune notizie base. Nome, cognome, geolocalizzazione e 730.
La cara ragazza a quel punto ha sciorinato la storia di lui, della sua cantina vinicola ereditata dal padre recentemente scomparso – il che faceva di lui anche il crocerossino più ricco della Valdobbiadene – e che lei aveva il suo numero e non il contrario perché è più fico così.
A questo punto le avrei voluto dire che questi giochi di ruolo bisognerebbe lasciarli a quelle stragnocche pazzesche tali anche se si svegliano la mattina senza trucco, con le extension sfatte e con in bocca un topo morto, mentre lei avrebbe dovuto ripetergli tipo mantra il proprio numero di telefono, lasciandolo solo previo squillo che accertava la correttezza dello stesso e le consentiva di memorizzare il suo numero di cellulare in modo ESATTO.
Ma alla fine non sono intervenuta e sono rimasta buona buona al mio tavolino e pare che, infatti, le cose non siano andate esattamente così.
Il suo viso d’un tratto si è incupito raccontando che invano gli aveva inviato un wathsapp, che pare avesse solo un flag. Dunque arrivato forse ma non cagato di certo!
Vero è che lui, durante il volo, aveva denunciato un mal funzionamento della sim e bla bla bla bla.
Ma, ancora a quel punto, gli occhi di lei erano pieni di fiducia e trascurando questi insignificanti particolari, si concentravano sulle sensazioni provate durante la traversata interstellare, riconoscendo in quell’incontro una certa riconoscenza da parte dell’Onnipotente per quel mese trascorso tra privazioni e canzoni neo melodiche, fino a che il più furbo del villaggio non le ha suggerito l’irreparabile, “ma, scusaaa, hai provato a cercarlo su facebook?!”.
A quel punto il mio corpo era proteso, pronto verso la fanciulla quasi a proteggerla da quella mina di portata devastante che avrebbe lasciato dietro di sé solo tormento e lacrime, mentre lei – sprezzante del pericolo – accoglieva il suggerimento con spirito eroico e, formando un gioioso capannello, ha iniziato a cercare il nome dello sventurato. E l’ha trovato!
Il suo faccione campeggiava lì sulla home page e come foto profilo trionfava quella con una donna, guancia a guancia, davanti ad un albero di Natale.
Nelle info, inizio convivenza 2015.
L’ho vista assistere così, inerme, ai propri sogni scatafasciati al suolo e restare lì, imbambolata e attonita, come davanti alla vetrina di Jimmy Choo, senza poter fare nulla. Nemmeno sperare nei saldi dei saldi dei saldi, per dire.
E allora mi son chiesta, ma non sarebbe stato meglio attribuire la colpa della sparizione dell’uomo della tua vita ad un disservizio della sim o immaginarlo in un ospedale per malattie infettive a combattere l’ebola contratta per darti assistenza, invece di vederlo lì, insieme a lei, con lo sfondo natalizio e i palchi di renna in testa, immagine simbolo della felicità coniugale?!
Mi sono alzata da quel tavolo, lasciandola col cellulare ancora tra le mani a sfogliare le foto profilo di Facebook, implacabile come può essere solo quello aperto, senza possibilità per la fantasia di interrompere quel flusso di realtà perché era tutto chiaro, tutto a portata di click.
Andando via ho pensato che era davvero un peccato non darsi nessuna possibilità. Lei non azzarderà più un contatto, non si insinuerà più nella sua vita, di cui ha visto tutto – anche le foto del cane mentre fa la toletta e l’espianto del dente del giudizio in un improvvisato selfie col dentista – e lui non potrà farsi sorprendere dai dubbi su quell’incontro che lo aveva folgorato così sulla via di Damasco, perché non la rivedrà più e continuerà a postare foto su Facebook incurante dell’esistenza delle impostazioni account sulla privacy.
Lei d’altronde, non chiederà alle amiche di improvvisare un improbabile e rocambolesco viaggio tra le colline venete lasciando al destino l’incombenza di ricongiungere l’altra metà, se ciò fosse stato nel disegno – come auspicato da sor Platone – né creerà una play list dedicata a ripercorrere quelle dieci ore e a rappresentare le successive o la vita intera insieme a lui.
Non sarebbe stato il tempo impietoso a relegare quell’incontro nel retro bottega degli amori più intensi, di quelli mai vissuti, come accadeva nel secolo a.f. (avanti facebook), né un audace scambio di scritti dal quale si sarebbero potuti riconoscere simili e innamorati, a sigillare il sogno d’amor perduto.
Me ne andavo così, con quel magone che segue di solito la delusione per un finale insipido, pensando che non sarebbe nata una storia d’amore è vero, ma soprattutto che oggi non avremmo potuto assistere agli amori più inquieti e passionali, quelli che entrano di diritto nel Devoto Oli della lingua sentimentale, per intenderci.
L’amore prima dei social

Di certo con Facebook a portata, Paolo e Francesca non sarebbero saliti agli onori della cronaca e Lancillotto avrebbe forse trascorso una vecchiaia più pacata. Melania avrebbe capito subito che Rossella batteva i pezzi a suo marito e col cacchio l’avrebbe accolta al suo capezzale mentre Brooke avrebbe avuto una vita più difficile (e con meno figli) con Caroline o Tylor tra i follower di Ridge.
Vano sarebbe stato dunque lo sforzo epocale di poeti e romanzieri a incentivare l’amor cortese, anche quello violato, quello vietato che invece oggi muore così, davanti a un’immagine sfocata, peraltro, con una risoluzione in pixel di pessima qualità.
E così, lui probabilmente continuerà a viaggiare lasciando il proprio numero di telefono alle sventurate di turno e lei, chissà, prenderà finalmente i voti, passando il resto della sua vita sapendo che un’altra donna ha sposato suo marito (cit. When Harry Met Sally).
Morale:
Non scrivere su Facebook il proprio status evitando accuratamente foto esplicite in coppia, non è piacioneria, ma senso di responsabilità!