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Stai visitando Home » L’ identikit del Perfetto Marito Tifoso
Dieci Centimetri

L’ identikit del Perfetto Marito Tifoso

Emanuela FiliceBy Emanuela FiliceAgosto 19, 2023Updated:Agosto 19, 2023Nessun commento5 Mins Read

Care amiche, sapete cosa succede a fine agosto, (a parte l’inizio del conto alla rovescia all’inizio delle scuole)?

Bene, ve lo ricorso io. A fine agosto, inizia il campionato di calcio!.

Ed è di questo che oggi vorrei parlare con voi, poiché, da quel momento – e per i successivi dieci mesi – le famiglie che accolgono un tifoso in casa (come la mia), si confronteranno con alcune peculiarità che lo caratterizzano e di cui noi dobbiamo essere pronte e consapevoli.

I tifosi, a prescindere dalla squadra del cuore, si somigliano tutti, così che si può addirittura tratteggiare l’identikit del perfetto marito tifoso.

Ma andiamo con ordine.

Intanto, c’è da precisare subito che questi uomini sono persone normali, all’apparenza innocue. Mio marito, ad esempio, è un uomo perbene, un lavoratore infaticabile e una cara persona, davvero. È un uomo che se gli chiedo di comprare l’acqua, va al supermercato e magari compra anche il pane. È anche un uomo paziente e pacato nella quotidianità. Infine è anche un uomo di scienza, e questo fa sì che egli affronti i problemi analizzandoli e non reagendo, come faccio io, a sentimento.

Mio marito però – perché c’è sempre un però – è anche un tifoso di calcio.

È un tifoso indefesso, di quelli per cui il calcio è una fede, non un semplice sport, di quelli che validano il connubio uomo-pallone senza pensare che esso sia mortificante.
Di quelli che ripercorrono la propria giovinezza, sezionandola tra le trasferte vissute e quelle mancate. Nient’altro.

Questa condizione, che mi era chiara anche prima che il sindaco sugellasse il nostro rapporto di coniugio, porta con sé alcune malformazioni psicofisiche che vorrei condividere con voi, ripercorrendole nelle loro manifestazioni sintomatiche, nella speranza di aiutare altre donne che si trovano nella mia stessa condizione e far capire loro che non siamo sole.

La trasformazione da uomo in marito tifoso

Magicamente, alla vigilia del fatidico match, anche l’uomo più civilizzato, anche quello culturalmente più sensibile, anche quello con una certa coscienza socio politica, si sveste dei panni fino a quel momento indossati con dignità, per dare spazio all’identità più autentica, primordiale direi.

Quando ciò accade, care amiche, vi esorto a non contrastare in alcun modo il processo anzidetto, per non creare uno shock emotivo all’uomo semplice, che potrebbe subite effetti strazianti e dai contorni oscuri, fin’ora sconosciuti.

Io personalmente, appena vedo manifestarsi i primi sintomi (ipersensibilità, prurito, iperidrosi), cerco di integrare i sali minerali persi. A tal fine, vi consiglio di fare trovare in frigo sempre della birra fredda, come effetto preventivo consolatorio.

Inoltre, suggerisco vivamente di preparare gli eventuali minori conviventi all’evento sportivo, innescando loro un senso di rispetto reverenziale che dovrebbe convincerli a chiudersi in camera e a non porre domande del tipo “ma oggi chi gioca?!”, e questo – per posologia – almeno dodici ore prima l’inizio della grande sfida.

Non solo, alla vista dell’uomo tifoso “in preparazione”, non bisognerebbe in nessun caso fare commenti sull’abbigliamento. Esso è frutto di decenni di combinazioni scaramantiche. E così capiterà di vederlo indossare una maglietta ormai lisa, scolorita e quasi mai lavata, sciarpa di lana, due cappelli, calzini spaiati e scarpe che puzzano di anni 80.

Non fateglielo notare, egli lo sa benissimo di essere ridicolo, non c’è bisogno di ricordarglielo.

È possibile, inoltre, che il marito tifoso in via di trasformazione alla vigilia della partita, assuma comportamenti all’apparenza bizzarri.
Potrebbe, ad esempio, acquisire una certa postura in bilico sulla poltrona, con il piede destro in flex e quello sinistro a punta o disponendo oggetti e suppellettili in posizioni mai viste prima. Potrebbe accadere addirittura, di rinvenire dei cumuli di sale grosso vicino al televisore.

 Anche in questo caso, bisogna far finta di niente. In quei momenti, il nostro bisogno di ordine e simmetria deve lasciare spazio all’autoconservazione, possibilmente cercando riparo in cucina.

Lì, ad esempio, alla vigilia della sfida, io mi rintano e preparo una certa cena come indicatami anzitempo da mio marito, sempre la stessa, per non deviare il corso degli eventi prestabiliti da decenni.

Arrivata l’ora del fischio d’inizio, il silenzio cala come un sipario sulla nostra casa. Nessuno può uscire nel corridoio, né avvicinarsi al soggiorno, che per l’occasione è transennato con filo spinato e scariche elettriche.

Ogni tanto si odono versi belluini, che possono essere indistintamente associati a sofferenza o a godimento. In questi casi, vi suggerisco di digitare su Google i risultati in tempo reale, a me è d’aiuto per darne la giusta interpretazione.

L’intervallo, è un momento in cui i figli possono andare in bagno e voi in cucina a prendere un po’ d’acqua. Ma, sinceramente, non farei altro.

Dopo circa un’ora e mezzo in questa condizione di incertezza, solitamente giunge da lontano un rumore sordo che squarcia il muro del suono e sancisce la fine della partita.

A quel punto, il marito tifoso, si alza dalla poltrona. Inizia la fase della consapevolezza.

Finalmente gli abitanti di casa, possono fare capolino fuori dalle proprie stanze.

A questo punto, dall’epilogo della partita dipendono vari corollari.

A volte, in caso di prestazione negativa, prevale il mutismo selettivo, associato a piccoli spasmi respiratori, con graduale trasformazione del tifoso in uomo civile, triste e dimesso; altre, invece, quando la squadra del cuore ha fatto il proprio dovere (e anche l’arbitro), l’uomo tifoso resta tale, almeno per le successive 48 ore (anche di più se l’incontro precede il weekend).

Ma state tranquille, mie care, prima o poi tutto tornerà alla normalità e voi vi riapproprierete di quel meraviglioso maschio che è al vostro fianco.

Perché, vedete, il calcio è davvero una metafora della vita. Per tutto c’è una fine.

Basta solo avere pazienza e saper aspettare (a volte 90 minuti, più qualche minuto di recupero).

Scopri di più sulla rubrica Dieci Centimetri di Emanuela Filice

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