Dal calendario Inarea 2018 che celebra la bellezza, la visione dell’architetto Antonio Romano sul significato del branding contemporaneo.
Tutti i giorni ci trucchiamo, quante volte utilizziamo vari strumenti e prodotti beauty, dal rossetto al fondotinta, dai pennelli fino naturalmente allo smalto ma avete mai guardato questi oggetti con occhi diversi? Avreste mai immaginato ad esempio, di creare una macchina fotografica con il beauty case o una motocicletta con il lipstick… ma il calendario di Inarea è celebre proprio per questo, perché ci invita a guardare la realtà con occhi diversi.

Il celebre calendario di Inarea

“Per un Nuovo Anno di Bellezza“: gli auguri più belli del 2018 sono stati certamente quelli che ho ricevuto da Inarea e dal suo fondatore Antonio Romano, brand designer di fama internazionale che con il suo team di lavoro ha riscritto la storia e la comunicazione delle aziende italiane più importanti come Tim, Enel, Trenitalia, la Rai, la Biennale di Venezia fino ai Musei Vaticani.

Il calendario rappresenta il manifesto del loro lavoro. Nato per gioco nel 1991 e oggi stampato in 16 mila copie, rappresenta ogni anno un tema con composizioni sorprendenti che ci invitano a vedere gli oggetti in modo diverso. È oramai un oggetto da collezione che, dietro l’ironia sapientemente calibrata, cela un grande lavoro.
In questo video potete scoprire il lavoro straordinario per l’edizione 2018 del calendario.
Il tema beauty e make up del calendario 2018 ovviamente mi ha letteralmente conquistata e finalmente ogni volta che guardo il calendario la giornata inizia bene, perché mi regala sempre un sorriso. Ma come buon proposito di inizio anno, ho pensato di fare qualcosa in più, intervistare l’architetto Antonio Romano sul significato della bellezza, l’importanza del logo nella moda e la comunicazione digitale.
Il branding contemporaneo raccontato da Antonio Romano.

Antonio Romano è indiscutibilmente un brand designer di fama internazionale, un grande comunicatore con una cultura infinita sulla comunicazione e sull’immagine dei brand. Grande personalità con un misurato senso dell’umorismo, ha la grandissima capacità di generare empatia e ispirazione. Insomma potresti stare ore ed ore a dialogare con Antonio Romano ma cominciamo dall’oggetto cult: il calendario.
Il calendario rappresenta per noi un manifesto – mi racconta Antonio Romano – un oggetto nato per i clienti ma che negli anni è diventato la sintesi del nostro lavoro. La prima edizione è stata nel 1991 per annunciare la nascita di INAREA (acronimo di Antonio Romano e Associati) e per il primo calendario il gioco che abbiamo fatto è stato prendere gli oggetti da lavoro, gli attrezzi del mestiere, quelli che oggi consideriamo gli oggetti del designer di altri tempi per trasformarli in qualcosa di diverso.

Parliamo di un periodo storico in cui per dare spazio ai computer stavano scomparendo tecnigrafi, pastelli, le penne ad inchiostro di china, la camera oscura, un universo che a raccontarlo oggi sembra un’alchimia.
Con quegli strumenti di lavoro realizzammo 12 soggetti che rimandavano al mondo del trasporto ma anche come metafora dei mezzi di comunicazione di massa, un’espressione oramai desueta.
Stampammo 1.500 copie del calendario ed ebbe un successo enorme, tanto da doverne fare una ristampa. Da quel momento si creò una condizione di attesa ogni anno del nostro calendario.

Per il 2018 abbiamo scelto il tema del make up e della bellezza , intesa non solo in senso assoluto ma anche come riconduzione alla semplicità, all’essenza e facilità di relazione. La semplicità come non ovvio e che ti strappa un sorriso.
La filosofia che sta alla base del calendario è che gli esseri umani la realtà la conoscono ma in realtà la fuggono, Noi amiamo la rappresentazione delle realtà e il calendario è diventato la miglior metafora rispetto al senso del nostro lavoro. Guardare la realtà dei nostri clienti e raccontarla in modo diverso”.

Ogni anno c’è un grande sforzo creativo per generare sempre un alto tasso di sorpresa e tutte le immagini dei calendari con i relativi oggetti raffigurati, sono stati esposti alla Triennale di Milano in occasione dei 25 anni del calendario e dei 35 anni di Inarea.
Le immagini più belle dei calendari Inarea

Antonio Romano è un grandissimo maestro del brand design e negli ultimi anni ci sono stati grandi cambiamenti nella comunicazione delle aziende così come nella nostra percezione delle immagini e della pubblicità.
L’elemento simbolico logo rimane un oggetto di culto ed è la sintesi del branding. Oggi l’idea di branding è straordinaria per la sua pervasività e l’impatto delle organizzazioni sulla vita delle persone.
ll branding contemporaneo è la capacità di presidio di tutti i punti di contatto tra l’organizzazione e i suoi pubblici e questo ha decretato un cambio radicale della stessa idea di branding. Alle sue origini serviva per distinguere un prodotto da un altro, oggi il funziona quando non ha bisogno di essere spiegato, anzi è brand tutto ciò che non ha bisogno di spiegazioni e distingue un consumatore da un altro. Esibire un’automobile X piuttosto che Y oppure indossare una T-Shirt con un logo piuttosto che con un altro, è un elemento distintivo per chi lo adotta. Quello che conta è l’indicazione di uno stile di vita che viene adottato con quel prodotto, quindi entriamo all’interno di universi brand e la nostra relazione con questi universi ci dà appartenenza ma anche una customer experience gratificante verso una stile di vita che ci rappresenta”.
Un discorso particolarmente interessante se pensiamo alla moda, che utilizza il logo anche come status symbol.
Dal mio punto di vista uno degli errori più comuni è raccontare la moda in un modo frivolo e non si premia mai tutta la struttura di progetto e di organizzazione che c’è dietro ma questo perché probabilmente fa parte dello show business, non della sostanza delle cose, c’è una maggiore esaltazione dello show e non dei contenuti.
Il film “Il Diavolo Veste Prada” è un ottimo esempio per far capire che dietro quella rappresentazione c’è in realtà un lavoro di progetto enorme e straordinario che poi diventa inevitabilmente sfera sociale e la globalizzazione sul piano dei comportamenti.
Il vestito che ognuno di noi indossa non serve per coprirci, grazie al cielo questa dimensione è stata superata da molto tempo. Noi usiamo il vestito per rappresentarci nel teatro della vita con il ruolo che determiniamo per noi stessi o che ambiamo a ricoprire. Ma il vestito è già è un indicatore di cultura e si lega al meccanismo successivo dei comportamenti”.
Abbiamo avuto periodi altalenanti tra l’esaltazione e il rifiuto del logo. Dagli anni ’80 passando per il minimalismo degli anni ’90 fino alla nuova esaltazione del logo dei tempi moderni.

Il boom degli anni 80 nasce dall’affermazione del prêt-à-porter, prima esisteva la Francia e l’alta moda e noi italiani eravamo interessanti perché avevamo una base artigianale molto importante.
Il prêt-à-porter milanese ha fatto un’operazione rivoluzionaria, che trova in Armani e Versace i più grandi protagonisti: partire dal presupposto di contenuto design per ricondurlo a criteri di produzione di serie e introdurre il brand come elemento di conferma.
La T-shirt con il marchio serigrafato non è uno strumento di moda ma è uno strumento per dare certezze a chi di suo non dispone di codici adeguati per potersi sentirsi a proprio agio con una t-shirt.
Quindi il logo grande o il logo piccolo è una questione che come sempre attiene alla capacità dello sguardo di cogliere il senso delle cose. Per poter raggiungere delle fasce meno strutturate c’è bisogno della visibilità del marchio, viceversa la fascia più sofisticata non ha bisogno del marchio e lo registriamo soprattutto nel luxury. Un esempio è Il brand Louis Vuitton che ha il problema dell’extra luxury perché sul luxury ha già vinto.
Oggi la diffusione di mode, tendenze, dei brand stessi e in generale gran parte della comunicazione, passa soprattutto per il mondo digital, di cui Antonio Romano ha una visione molto chiara:
Il digital serve proprio da backoffice, per presidiare i punti di contatto e la profilazione. Io sono convinto che lavorare separando lo spazio fisico da quello digitale è una forma di anacronismo. Dobbiamo lavorare in uno spazio di relazione. Tra la storia dell’umanità intesa come urbanizzazione e la storia del digital ci sono straordinarie affinità e noi siamo nella fase di urbanizzazione di questo spazio non fisico. Abbiamo cominciato con le agorà che sono i blog, poi gli anfiteatri che sono i social network e via via stiamo costruendo spazi pubblici all’interno dei quali diamo una rappresentazione di noi stessi. L’efficacia delle relazioni sta sulle conseguenze sui comportamenti, in altri termini io sarò bravo nel mio lavoro se riesco ad ispirarti.
Attraverso i canali social e la comunicazione digital, i brand e le aziende ci rincorrono con tutti gli strumenti e le strade possibili e sono cambiate anche le strategie. Ma basta davvero un logo vistoso o un’immagine di impatto per decretare il successo di un brand? Ecco la visione di Antonio Romano che suggerisce alle aziende che oggi si rivolgono a lui:
“Non fatevi illusioni, la capacità di ricordo del brand in un’epoca in cui ci informiamo in tempo reale e dimentichiamo all’istante, è molto difficile perchè non fermiamo più niente nella memoria visto che abbiamo una protesi a portata di mano che ci permette di ricordare tutto. Questo fa sì che il brand come qualsiasi altro segnale che arrivi alla nostra attenzione non ha più quelle caratteristiche di relazione per cui si consolida nella memoria, devi solo chiamarti Apple o Coca Cola… per realtà che non hanno questa massa critica il brand è indispensabile per un altro aspetto. In un modo in cui tutti diventiamo più estranei il dato nuovo che appare in maniera inconfutabile è quello dell’empatia.
La comunicazione di massa di un tempo era in modalità broadcast, vale a dire io parlo ad una platea che ascolta. Oggi io parlo ma non so chi mi ascolta, lo posso misurare attraverso i canali digitali ma l’aspetto da tenere in considerazione è quanto si fissa di quello che ho detto. Poiché si fissa sempre di meno io devo fare in modo che il ricordo si fissi attraverso la ripetizione coerente del segnale, fatto in situazioni di contingenza importante per il destinatario del tuo messaggio”
La parola brand è sicuramente molto utilizzata ma in realtà non significa solo creare un marchio con la declinazione di più prodotti perché il branding contemporaneo passa anche per valori che un’azienda è in grado di trasmettere e in cui riconoscersi. Anche noi possiamo essere un brand, in base alla leadership che ci riconoscono:
Il sogno della leadership è parte parte integrante dell’essere umano, soprattutto di chi si propone agli altri e l’essere leader non significa più come un tempo predisporre di elementi quantitativamente superiori, in poche parole, non si misura sul fatturato.
Quando da me arriva un cliente io cerco di fare il sarto della sua anima per capire come quella leadership può essere rappresentata.
Chi è il leader contemporaneo? Colui che è in grado di ispirarti con pensieri e azioni. Le uniche persone che ci interessano sono quelle che ci trasferiscono un punto di visto non ovvio, non prevedibile, su fenomeni anche banali e riescono a coinvolgerci. Quindi non sono persone che ci dicono cosa dobbiamo fare, ci dicono ‘I have a dream’ ci raccontano un sogno che magari corrisponde al nostro e quindi sono in grado di ispirarci”.
Probabilmente dopo questa interessante intervista, vi starete chiedendo qual è il logo di Antonio Romano e della sua Inarea…

Il logo di Inarea è un’ape (qui rappresentata dall’immagine di un calendario). Una piccola ape ma che se ci pensate rappresenta anche leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità. Che sono esattamente i valori del brand Inarea e di Antonio Romano.