
Contributor di Amiche di Smalto
L’estate non va in vacanza
Se avete più di 35 anni e meno di 70 è probabile che guardiate all’estate con lo stesso entusiasmo con cui i militari del Regno d’Italia partirono per la campagna di Russia.
Infatti, a meno che tu non sia un soggetto senza figli e le tue ferie si sviluppino tra Ibiza e Formentera oppure, pur avendo figli hai pari tate che ti consentono di goderti le tue vacanze tra Ibiza e Formentera, l’estate è – diciamolo – una vera schifezza.
Ormai si spreca inchiostro un po’ ovunque, su riviste specializzate e non solo, per parlare della depressione pre-estiva e non spetta a me di certo accertare il perché di questa piaga sociale qualificandola come patologia o fenomeno di massa. Di certo, di questi tempi, chiedere a qualcuno quando e se andrà in ferie porta con sè quel pathos riservato e giustificato – fino a poco tempo fa – solo ai destinatari delle buste arancioni dell’INPS per il calcolo della pensione.
So perfettamente, quindi, che non scrivo nulla di originale se dico che mi sento parte di quell’allegro gruppo di depressi che piuttosto di programmare le ferie estive preferirebbe arruolarsi come volontario in un centro raccolte e recupero di biomasse.
Voglio dire, fino a qualche decennio fa, i genitori – loro malgrado, eh! – si disfacevano dei figli affidandoli ai nonni già ai primi di giugno per riabbracciarli, col cuore pieno di gioia, solo i primi di agosto quando – con l’entusiasmo tipico dell’amore ritrovato – iniziavano le vacanze “nonni inclusive” in qualche amena località.
Oggi, vuoi perché sono sempre meno le località ridenti e amene a portata di budget, vuoi perché i nonni sono sempre più “esclusive” e più simili a dei globetrotter, si arriva all’ultimo giorno di lavoro prima delle ferie che consideri realmente l’ipotesi di restare in città a goderti l’estate romana tra lungotevere e domeniche al lago, come unica ipotesi valida di ricongiungimento tra te e dio.
Poi pensi che Roma è a rischio emergenza idrica e viri velocemente per una conversione rapida al dio nettuno, possibilmente con i deputarori in funzione. A questo si aggiunge la brevità delle ferie effettive, che nemmeno fai in tempo a capire dove fanno il gelato alla stracciatella migliore della zona che già devi ripartire, per dire.
Insomma, quale che sia la verità – personalissima per ognuno di noi – accomuna tutti all’arrivo dell’estate che, sotto vari aspetti, ci fa rimpiangere nemmeno troppo la primavera appena trascorsa, quanto direttamente l’inverno.
L’inverno invece è la stagione della speranza non ancora tradita. C’è ancora tempo per prenotare una vacanza, per trovare un fidanzato che te la offra, ancora devi prendere la quattordicesima e pensi che sia la soluzione per ogni tuo male, hai ancora tempo per dimagrire.
In estate invece il dado è tratto. Se non hai superato la prova costume sei inesorabilmente bocciato e non recuperi a settembre, eh?!
L’inverno è sincero e scaltro. L’inverno è schietto. Non promette ciò che non può mantenere. Dell’inverno ti puoi fidare. E anche quando ti pugnala non lo fa alle spalle.
Se ti raggela il cuore lo fa solo dopo che ti ha congelato anche i polpastrelli e le guance.
L’estate no, l’estate lo fa sotto il sole, con 40 gradi all’ombra, da un terrazzo con un panorama da cui puoi vedere il paradiso. Lo fa mentre le gelaterie sono piene e le strade deserte, mentre sei appoggiato di spalle ad un auto parcheggiata col motore ancora caldo, che senti l’odore dell’asfalto ammollato dal sole e una mano che stringe la tua.
Lo fa incurante del canto delle cicale, dei bambini che imparano ad andare in bicicletta senza rotelle, della fine degli esami di maturità, dell’odore dei peperoni grigliati.
L’estate è subdola e meschina. Si nasconde dietro a promesse di felicità e alla fine ti è andata bene se arrivi al 15 di agosto e puoi assistere inerme alla Tribute band dei Toto in piazza senza rimpiangere troppo i pomeriggi d’estate passati a tagliare code alle lucertole.
L’inverno è un pilastro cui ti puoi sempre appoggiare. D’inverno ad una certa ora fa buio, ceni e vai a dormire. L’estate è dispettosa, non ti dà pace nemmeno quando vorresti solo che arrivasse domani, perché il domani tarda ad arrivare, come l’imbrunire.
L’estate è pericolosa. Non ti puoi fidare certo dell’estate dove sei circondato di risate, anche quando non sono le tue.
L’inverno ti dà certezza. D’inverno lo sai che sei felice, perché quando ridi si appannano i vetri dell’automobile, per dire.
Ma sai anche quando sei triste, perché le lacrime non si confondono con il sudore.
Anche la sofferenza si accetta meglio in inverno. Avete mai sofferto d’amore in estate? La sofferenza in estate è completamente diversa da quella che ti accoglie in inverno.
In inverno invece, se vieni mollata dal ganzo di turno, guardi Barbara d’Urso la domenica e capisci che c’è sempre di peggio nella vita e ti consoli in fretta.
In effetti in estate è tutto più amplificato, e la tristezza in questo mar ci sguazza.
Le hit dell’estate per esempio te le porti dietro tutto l’anno e per gli anni a venire ricorderai che quella canzone dell’estate del 1941 la ascoltavi davanti al mare al tramonto con un mojto appena assaporato, mentre lacrime solcavano il tuo viso nel ricordo dell’amor caduto in guerra. Mentre è già tanto se riesci a rappresentarti in autunno senza pensarti prima morta di crepa cuore o suicida da Ponte Milvio già i primi di settembre.
Le canzoni che escono in inverno invece al massimo le ascolti in palestra mentre cerchi di concludere il percorso fitness con una certa dignità e, per connessione logica, le dimentichi appena esaurito l’abbonamento semestrale, le lasci nel dimenticatoio appena puoi insomma, insieme ai chili che non hai buttato giù.
D’inverno non dico che non soffri, ma hai sciarpa e cappello che ti scaldano il cuore e la prospettiva di una estate in qualche campo missionario prima di cominciare la tua nuova vita come suora di clausura.
In estate invece tutto riconduce al dolore appena patito e non servono fenicotteri rosa ad allietare i bagni al mare, che ai tuoi occhi sofferenti appare solo una massa di liquido informe e ingiusta, buona solo per custodire il Titanic.
Lo stesso mare che d’inverno sarebbe invece un onesto dipinto in bianco e nero, esattamente come il tuo umore.
Se soffri d’estate, sei condannato a soffrire per i successivi mesi e a ricondurre ogni ulteriore fallimento all’estate appena trascorsa. Mentre la sofferenza che subisci in inverno è interrotta almeno in alcune occasioni certe: Natale, Capodanno e Festival di Sanremo.
Tutto questo per dire che non amo l’estate. Ho passato anni a cercare di capire il perché di questo rifiuto che mi vede alle porte delle vacanze estive consumatrice compulsiva di Xanas proprio quando tutti iniziano ad attaccarsi alle bottiglie di Corona col limone per i lungo mare della costa adriatica.
Eppure, se mi guardo indietro, non è sempre stato così. Ricordo estati – molto simile a questa che mi accingo a superare entusiaticamente – in cui, ad esempio, ho desiderato fortemente non lasciare la città. E non perché in questo modo fosse più facile immaginarmi in autunno, ma perché volevo proprio godermela l’estate e i nuovi sentimenti che con essa stavano fiorendo. Volevo avere il tempo di sentirli e non farmeli svilire da giornate scandite da altro che non fosse il battito del mio cuore. Me lo volevo godere d’estate il cambiamento del mio cuore, senza fretta di scoprire se fosse davvero amore.
In quelle estati lì, l’ho amata l’estate.
Era un cuscinetto, una svizzera dell’anima che mi traghettava in autunno col minor trauma possibile e se anche non si fosse realizzata l’aspettativa, ne sarebbe comunque valsa la pena.
Ci sono state vacanze interminabili di felicità racchiuse in uno zaino col costume di ricambio spaiato. Biglietti cambiati all’ultimo secondo per prolungare l’illusione anche solo di una notte. Estati con esami da studiare e notti da dormire. Estati in barca a vela e mal di terra.
Estati da piangere a ricordarle e da ridere a viverle. Come dovrebbero essere tutte le estati, in fondo.
Poi è successo qualcosa. Come le più belle storie d’amore, l’amore si è semplicemente suicidato. Questa volta però non per colpa mia. Il rapporto è iniziato a scricchiolare un lontano luglio di tredici anni fa e da allora non è stato più possibile recuperare. È stato un rocambolesco rincorrersi nella speranza di rimediare all’ineluttabile. È iniziato con un dolore sordo, seguito da altri spasmi successivi, estati dopo estati, fino al collasso definitivo.
L’amore è finito così, su una strada piena di curve verso la felicità.
Ma ho dei figli e il rancore che porto ancora dentro di me lo devo mettere da parte. È giusto che queste creature inesperte riconducano ancora al cambio di stagione un motivo per sorridere. È così che ogni anno di questi tempi mi armo di liste infinite per dimenticare il meno possibile, sbrino il freezer e cucino lo spezzatino congelato anche se fuori ci stanno 56 gradi per non lasciare nulla – anche se starò fuori casa sì e no due settimane – esattamente come faceva mia madre; ripulisco tutte le borse usate durante le stagioni, ritrovando utensili che pensavo ormai dati per dispersi nella notte dei tempi e faccio le valigie insieme alle bambine, riempiendo le borse di costumi, vestitini, kit di smalti Neon Wave di Chanel (collezione limited edition) e libri per le vacanze che non finiranno MAI.
Chiudo la casa a tripla mandata e cerco di conservarne l’odore, sperando – al mio ritorno -di tornare e respirare quello che sentivo da bambina a rientro dalle vacanze e che riconoscevo come l’odore di casa.
Perché alla fine le vacanze sono profumate ma mai quanto l’ingresso di casa dopo un periodo di lontananza.
Mi concedo così all’estate, per amore dei miei figli, offesa nell’intimo da un amore primordiale, abbandonata – sull’uscio della felicità – decisa a non perdonare.
Ma in fondo ancora innamorata.
Solo che alla fine l’estate mi ha tradita ed io semplicemente non mi fido più.